Speciale Boschi Di Stefano – Roberto Crippa - Casa Museo Boschi Di Stefano
Speciale Boschi Di Stefano – Roberto Crippa
Il Prometeo di Roberto Crippa
La produzione di Roberto Crippa (1921-1972) indaga e sperimenta diversi linguaggi espressivi, di cui le settantasei opere presenti nella collezione Boschi Di Stefano danno un assaggio. I coniugi iniziano a interessarsi all’artista nel 1954 e nel 1957 il corpus principale delle sue opere risulta già acquistato. Esauritasi la produzione spazialista dei primi anni Cinquanta, il momento successivo, in cui Crippa inizia a lavorare sul motivo della spirale, denota una certa maturità espressiva che si allinea alla sensibilità critica dei coniugi. Nella dichiarazione del 1974 che Antonio Boschi rilascia in occasione della donazione della collezione al Comune di Milano, riportata nel catalogo della mostra "50 anni di pittura italiana nelle Collezioni Boschi-Di Stefano" organizzata a Palazzo Reale, l’ingegnere parla di una certa “adesione spirituale” che spinge lui e Marieda alla scelta degli artisti da collezionare.
Il “Prometeo” costituisce un’importante testimonianza della prima produzione scultorea dell’artista. Realizzata nel 1956 e immediatamente venduta ai coniugi Boschi, l’opera è un’immagine totemica che sembra traslare a un livello tridimensionale i vari personaggi-feticci che l’autore presenta al pubblico nel momento di innovazione della propria narrativa.
Il richiamo al mito è esplicito: non solo Crippa sembra allontanarsi dall’Informale (dalle sue composizioni e spirali o “discorsi nello spazio”, come le definisce l’autore) attraverso un nuovo tipo di figurativismo antropomorfo e zoomorfo (seppur rielaborato in chiave surreale), ma fornisce allo spettatore un riferimento imprescindibile all’interpretazione dell’opera. Così la scultura, tagliente e sottile, si presenta come un moderno Prometeo di ferro, cristallizzato per sempre in un momento di integrità (nessuna aquila a mangiargli instancabilmente il fegato), ma ugualmente fragile.
Il parallelismo tra la figura mitologica, rea di aver sfidato il volere degli dèi, e lo stesso Crippa è lampante, così come quello tra l’autore e Icaro, colui che sfida i propri limiti volando troppo in alto, che presta il nome a un’opera del 1964: l’artista, infatti, noto per la passione per il volo, perde la vita nel 1972 in una delle sue “spirali” celesti.
Un’altra chiave di lettura dell’opera può essere colta in una citazione di Rimbaud che Crippa riporta nel suo contributo "Io, erratico vagante" apparso sulla rivista "Carte segrete" nel 1970: [L’artista è] “un ladro di fuoco... sempre di fronte all’ignoto”.
L’utilizzo di appuntite lamine di metallo in quest’opera si inserisce nel quadro dello sperimentalismo materico che l’autore abbraccia nello stesso periodo: dalla cera al gesso, dalla sabbia al legno, fino ai lavori polimaterici degli anni Sessanta.
Contro lo sviluppo sfrenato tecnologico e industriale di quegli anni, l’autore adotta, come arma privilegiata, il primitivismo: il “Prometeo” è infatti l’incarnazione stessa dei primordi dell’umanità, un monumento androgino, da una parte maschio e dall’altra femmina. Appaiono illuminanti le parole di Victor Brauner, artista surrealista che Crippa conosce a New York negli anni ’50 (insieme ad altri personaggi che lo influenzano, come Max Ernst e Marcel Duchamp), che pubblica un contributo nel catalogo della mostra tenutasi a Palazzo Reale "Roberto Crippa: novembre-dicembre 1971", con un’ambientazione di sfondo eccezionale come la Sala delle Cariatidi:
“Le sculture di Roberto Crippa sono delle costruzioni complicate, inventate, macchine dell’intelligenza e esseri organici ad un tempo. Sono intenzionalmente dinamiche, hanno un senso di direzione e di proiezione che fa, della loro lotta con l’aria e con lo spazio, una conquista essenziale. La loro aggressività è una forza scatenata, allo stato puro, dalla collera primordiale, nutrimento sostanziale delle grandi azioni”.
Testo a cura di Gabriella Corigliano