San Sisto al Carrobbio: da chiesa a Studio Museo - Studio Museo Francesco Messina
San Sisto al Carrobbio: da chiesa a Studio Museo
Che siate abituali frequentatori dello Studio Museo o che non ci siate mai stati, ecco una breve storia della storica sede dello Studio Museo Francesco Messina. Un edificio antico che, attraverso i secoli, ha più volte cambiato faccia e funzione. Vediamo questi passaggi storici in quattro punti.
Le origini: la fondazione in età longobarda e la ricostruzione in età moderna
La sede dello Studio Museo Francesco Messina è l'ex chiesa di San Sisto, ubicata in una traversa di via Torino, nel cuore della città romana. L'edificio ha una storia molto antica e travagliata, le cui vicende sfuggono a una precisa ricostruzione, confondendosi man mano che si ripercorrono i secoli.
Nel 1750, il curato della chiesa Pietro Crivelli scrive una storia dell'edificio in cui fa risalire la fondazione al re longobardo Desiderio, che nell'870 la fa costruire con un annesso monastero benedettino chiuso poi da Carlo Borromeo per lo stile di vita licenzioso dei monaci. La notizia è riportata in diverse versioni negli scritti di eruditi e storici dal Medioevo fino al Settecento.
Mentre le fondamenta risalgono effettivamente al periodo longobardo, le forme architettoniche conservatesi attualmente risalgono a un periodo compreso tra la fine del Cinquecento e il primo Seicento, e sono il frutto di una serie di interventi registrati negli atti delle visite pastorali, e spesso motivati da queste.
Nella visita pastorale di Carlo Borromeo del 1570 si documenta l'avvio di una serie di lavori, tra cui la realizzazione della cappella dell'altare maggiore, completata nel 1590, l'erezione di un fonte battesimale, di un ciborio e di due confessionali e, infine, la costruzione della sagrestia nella cappella a destra della maggiore.
Nel 1604, in occasione della visita dell'arcivescovo Federico Borromeo, la fabbrica risulta tuttavia non ancora conclusa, con le pareti laterali della chiesa a rischio di crollo. È però presente la torre campanaria, non registrata in precedenza.
Apice e declino
Si susseguono così, nelle cronache pastorali, le tappe di una vicenda costruttiva discontinua, che sembra in parte avviarsi verso una risoluzione all'inizio del Seicento, probabilmente per volontà dell'arcivescovo e grazie a un disegno unificatore, che dà organicità a una serie di interventi protrattisi nel tempo e che si può far risalire a un architetto del periodo federiciano. Da questo disegno deriva l'aspetto armonioso dell'edificio, ad aula unica biabsidata, con cappelle lateriali a sfondato fiancheggiate da aperture minori e con la facciata a doppio ordine.
Agli ultimi decenni del Seicento risalgono invece i dipinti di Carlo Preda, uno degli artisti più originali sulla scena milanese tra Sei e Settecento, dedicati al Martirio di San Sisto, alla Vita di San Carlo, a Sant’Antonio e al Santissimo Crocifisso. Di Carlo Preda è anche la pala d’altare con la Vergine fra San Sisto e San Carlo.
Le opere di ricostruzione disposte da Federico Borromeo stentano tuttavia a concludersi e anzi si interrompono, tanto che il curato dell’epoca pensa di coinvolgere nell’impresa la famiglia dei marchesi Modrone, che detenevano un sepolcro nella chiesa e che abitavano in un palazzo adiacente. Hanno così inizio vicissitudini travagliate causate anche dall’inadempienza dei marchesi, con ripercussioni sulla fabbrica ecclesiastica: già a partire dalla seconda metà del Seicento inizia infatti il declino dell’edificio con la soppressione della parrocchia di San Sisto, aggregata sul finire del XVIII secolo alla vicina San Giorgio al Palazzo.
Tra Ottocento e Novecento: il progressivo abbandono
Fra Settecento e Ottocento sono documentati sporadici interventi di manutenzione e restauro, fra cui la riparazione del campanile, il rifacimento del pavimento, la sostituzione dell’altare maggiore, la realizzazione di cappelle e di altari, tra i quali quello in marmo di Carrara dedicato a Sant'Anna, realizzato nel 1840 su disegno dell'architetto Giovanni Brigatti e nel quale era collocato un dipinto attribuito a un esponente della famiglia Procaccini, un clan di artisti protagonista della scena milanese tra Cinque e Seicento.
Durante la Prima guerra mondiale la chiesa viene trasformata in magazzino militare e non più usata per il culto, tanto che dopo la guerra non riapre. Fra il 1930 e il 1944 la pala d’altare di Preda con la Vergine fra San Sisto e San Carlo viene spostata nella vicina chiesa di San Giorgio al Palazzo, dove si trova ancora oggi. Anche il dipinto dell’altare di Sant’Anna lascia la chiesa, ma se ne perdono le tracce. Nell'agosto del 1943, inoltre, la parte absidale di San Sisto viene bombardata gravemente e poi sostituita da un finestrone.
Il Comune di Milano nel 1950 predispone un restauro dell’edificio che non viene mai avviato, perché rimane incerta la destinazione d’uso; anche la proposta, avanzata nel 1966, di adibire la chiesa a biblioteca rionale non ha seguito.
Dopo essere stata destinata per un periodo a laboratorio di falegnameria, la chiesa di San Sisto diventa rifugio di senzatetto. È in queste condizioni che la trova Francesco Messina quando vi mette piede per la prima volta nel 1969: l’interno deturpato dai fuochi accesi dagli ospiti clandestini, da rifiuti e immondizia, l’esterno abbandonato al degrado del tempo, senza opere di manutenzione.
L'incontro con Francesco Messina e la rinascita
Lo scultore, ormai prossimo alla pensione dall'insegnamento all'Accademia di Brera e costretto dunque ad abbandonare lo studio che aveva avuto lì fino a quel momento, è alla ricerca di un nuovo spazio in cui continuare il suo lavoro e nel quale collocare alcune opere rappresentative della sua lunga carriera, che intende legare alla città di Milano. Dunque, sul finire degli anni Sessanta visita la chiesa, che versa in grave stato di abbandono ed è già destinata alla demolizione. Messina, affascinato dalle potenzialità dell'edificio, ha dunque come primo merito quello di salvare un monumento da secoli appartenente alla storia milanese.
Fa così richiesta al Comune e nel 1969 gli viene concesso l’uso in comodato dell’edificio come studio, vita natural durante, in cambio del suo impegno ad assumersi l’onere di un restauro completo di chiesa e canonica e a sistemarvi una selezione emblematica di sue opere che passeranno poi alla città di Milano per costituire il futuro Studio Museo Francesco Messina.
Con l’aiuto dell’architetto Tito Varisco, direttore degli allestimenti scenici del Teatro alla Scala e professore di scenografia a Brera, la chiesa viene consolidata dalle fondamenta, restaurata e adattata a museo e a studio. Ne deriva così la riorganizzazione della struttura con la creazione di uno spazio seminterrato aperto sulla navata centrale e la trasformazione dell’antica canonica in una sala affacciata sulla piazzetta di San Sisto e in uno studiolo posto all’ultimo piano.
Il nuovo edificio viene inaugurato agli inizi degli anni Settanta, momento in cui nascono in Italia, con lo stesso spirito, musei di scultori a Messina contemporanei, come Giacomo Manzù e Marino Marini. In San Sisto Francesco Messina continua il suo instancabile lavoro per un altro ventennio, offrendo alla cittadinanza la possibilità di ammirare il frutto di tale opera.
Nel 1995, alla morte dell'artista, come da accordi il Comune di Milano torna in possesso dell’edificio e annette al patrimonio delle Civiche Raccolte d’Arte, oltre alle quaranta sculture della originaria donazione, un insieme più ricco che oggi comprende circa un centinaio di opere fra sculture e disegni.